Il termine fede viene dall’ebraico “aman”, che significa essere saldo, fermo, sicuro. Nell’Antico Testamento: è molto presente la fedeltà stabile, ferma e duratura di Dio nell’adempiere gli impegni dell’alleanza: “Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l’amano e osservano i suoi comandamenti” (Dt 7,9).
E’ però anche presente la fedeltà del popolo di Israele nell’appoggiarsi a qualcuno. Infatti, di fronte all’elezione di Dio la risposta da parte del popolo è di rimanere saldo, fermo e sicuro, di riporre la sua fiducia in Lui, che trova il suo fondamento nella fedeltà di Dio alle sue promesse.
Di fronte al Dio fedele, l’uomo non può che avere fiducia e obbedire alla sua Parola. Significativa al riguardo è la fede del patriarca Abramo che si affida in tutta libertà al disegno provvidenziale di Dio sulla sua vita. Avere fede, dunque, come ha detto Papa Benedetto nell’udienza di mercoledì 24 ottobre 2012, “è affidarsi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel «tu» della madre”.
Nel Nuovo Testamento avere fede è riconoscere Gesù come il Messia: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16).
Credere è conoscenza e accettazione del mistero pasquale e della persona di Cristo: “Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9).
La fede diventa quindi, assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio e su Gesù Cristo, ma è anche un atto con cui mi affido liberamente “a un Dio che è Padre e mi ama…. La fede nasce da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne sia coinvolta” (Benedetto XVI, Udienza 24 ottobre 2012).
Se il credente è colui che si fida e si appoggia a Dio, credendo fermamente nella Sua Parola, l’incredulo non si appoggia a Dio, né vuole vedere e riconoscere le meraviglie che Dio ha operato nella storia e nella sua vita, ma con un atteggiamento caparbio e ribelle si appoggia su se stesso e non crede che Dio può liberarlo dai pericoli e soddisfare i suoi bisogni. Si comporta come il popolo d’Israele nel deserto che, preso dalla fame e dalla sete, invece di fidarsi di Dio, mormora contro di Lui. L’incredulità è propria di chi ha il cuore indurito: “Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito” (Is 6, 10) e questa situazione porta al rifiuto di credere che Gesù è il Messia atteso, tant’è vero che il popolo d’Israele, popolo “di dura cervice” (Dt 33, 5), non lo riconosce come il Cristo-Messia e, pur testimone dei suoi molti miracoli, lo fa condannare da Pilato come un malfattore.
L’incredulità, però, è condizione in cui cadono anche i discepoli di Gesù, quando temono davanti alla tempesta (Mt 8, 26),o quando si preoccupano dinanzi alla necessità di sfamare la folla (Mt 16, 8-10), o ancora quando si scandalizzano davanti al mistero della croce (Mt 16, 23) per arrivare a e quando arrivano a non credere alla Risurrezione (Mt 28, 17).
L’incredulità di chi si dice amico di Gesù e poi non si comporta come tale è quella più dolorosa per il Signore, ma Egli è sempre disposto a perdonare e a ricominciare. Così ha fatto con San Pietro e così era disposto a fare anche con Giuda, ma egli è rimasto chiuso nel suo cuore indurito e non ha avuto l’umiltà, come invece San Pietro, di chiedere perdono al suo Maestro.
Signore, anche noi, tante volte, abbiamo mancato di fede e di fiducia nei tuoi confronti, ma come San Pietro vogliamo chiederti: “Aumenta la nostra fede”, perché possiamo renderti testimonianza davanti a tutti gli uomini!